Attraversò la città addormentata, ancora immersa nel sonno, aprì con esagerato rumore il portone di casa. Nell'appartamento già filtrava dalle fessure delle persiane un poco di luce.
«Buonanotte, mamma» egli disse passando nel corridoio e dalla stanza, gli parve che come al solito, come nei giorni lontani quando rincasava a notte alta, gli rispondesse un suono confuso, una voce amorevole anche se grondante di sonno. E continuò quasi pacificato verso la propria stanza, quando si accorse che anche lei parlava.
«Che cos'hai, mamma?» chiese nel vasto silenzio. Nello stesso istante capì di avere scambiato il rotolio di una carrozza lontana con la voce cara. In verità la mamma non aveva risposto, i passi notturni del figlio più non la potevano destare come una volta, si erano fatti come estranei, quasi il loro suono fosse col tempo cambiato.
Una volta i suoi passi la raggiungevano nel sonno come un richiamo stabilito. Tutti gli altri rumori nella notte, anche se molto più forti, non bastavano a svegliarla, né i carri giù nella strada, né il pianto di un bambino, nè gli ululati dei cani, né le civette, né l'imposta che sbatte, né il vento dentro le gronde, né la pioggia o lo scricchiolare dei mobili. Soltanto il passo di lui la svegliava, non perché fosse rumoroso (Giovanni anzi andava in punta di piedi). Nessuna speciale ragione, soltanto che lui era il figliolo.
Ma adesso dunque non più. Adesso lui aveva salutato la mamma come una volta, con la medesima inflessione di voce, certo che al familiare rumore dei suoi passi si fosse destata. Invece nessuno gli aveva risposto fuori che il rotolio della lontana carrozza. Una stupidaggine, pensò, una ridicola coincidenza, poteva anche darsi. Eppure gliene restava, mentre si disponeva a entrare nel letto, una impressione amara, quasi l'affetto di una volta si fosse appannato, come se fra loro due il tempo e la lontananza avessero lentamente disteso un velo di separazione.
Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari
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