C’è chi viaggia in treno, scende a Sào Toreato, sulla linea di Setil, o a Vendas Novas, o sinanco a Montemor, un po’ più avanti se l’appuntamento è a Terra da Torre, in queste stazioni se è a Terra Fria. In tal caso va bene a chi viene da Sào Geraldo, è il salto di una pulce, ma se quest’oggi qualcuno è partito da Sào Geraldo per gli stessi affari, ha proseguito oltre, forse non per caso, dev’essere una regola, e certo con un suo fondamento. A questo punto, trascorsa metà mattina, non si vede più la bicicletta, i treni sono ormai lontani, eccolo là che fischia, e sopra Terra Fria si libra un nibbio cacciatore, è bello da vedersi, ma è molto più bello rimanere a guardarlo e d’improvviso udirlo gridare, quel pigolio prolungato che non si può esprimere a parole, ma quando lo udiamo, vorremmo subito raccontare com’era, e non ci riusciamo, di bestie che pigolano non ne mancano, fra pulcini d’ogni specie c’è la voce umana, ma questo grido è diverso, di una natura così selvaggia, fa rabbrividire, né mi sorprenderebbe che dopo averlo udito così tanto finissero per nascerci le ali, si sono viste cose più straordinarie. Librandosi alto, il nibbio tende un po’ il capo, è solo un gesto, ché la sua vista non avrebbe bisogno di un avvicinamento così ridotto, siamo noi che abbiamo queste piaghe della miopia, dell’astigmatismo, parole con le quali, a proposito, dobbiamo stare attenti in questa parte del latifondo, gli angeli possono confondersi con stimmatismo, andare in terrazza alla ricerca di Francesco d’Assisi e trovarsi con un semplice nibbio che urla e cinque uomini che si avvicinano, alcuni già prossimi, altri più lontani, a Terra Fria. Chi li vede tutti, da lassù, è il nibbio, ma questo non è uccello che veda e vada a raccontarlo. […] L’incontro è finito. Il primo ad allontanarsi è l’uomo della bicicletta e poi, con uno stesso movimento di espansione, come un sole che esplodesse, gli uomini prendono ciascuno la propria via, dapprima ancora in vista gli uni degli altri, nel caso si voltassero, ma non lo fanno, anche questa è una regola, e subito dopo si nascondono, sono nascosti dal dislivello di un fosso, oppure sfuma la loro sagoma in lontananza dietro il dorso di una collina oppure è semplicemente la lontananza e il rigore del freddo, infine avvertito, che costringe a socchiudere gli occhi, e inoltre bisogna camminare guardando dove si mettono i piedi, non si può procedere a casaccio. Allora il nibbio lancia un grido acuto, che risuona per tutta la volta celeste, e si allontana verso nord, mentre gli angeli sussultano e accorrono alla finestra inciampando, ma ormai non vedono più nessuno. […]. Di fame ne ho già passata, fra la primavera e l’inverno, dice la morte all’inferno, la falce ti ha sempre aspettata, e dopo questa quartina cantata in coro si fa un grande silenzio nel latifondo, che cosa succederà, e mentre ce ne stiamo lì preoccupati, con gli occhi bassi, rapidamente passa un’ombra, e quando alziamo la testa, vediamo il grande nibbio che si libra lassú, allora era un suo grido questo gemito che mi è uscito dal petto.
José Saramago, Una terra chiamata Alentejo
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