Assenza

8 dicembre 2007
Dovrò rialzare la vasta vita
che ancora adesso è il tuo specchio:
ogni mattina dovrò ricostruirla.
Da quando ti allontanasti
quanti luoghi sono diventati vani
e senza senso, uguali
a lumi nel giorno.
Sere che furono nicchia della tua immagine
musiche in cui sempre mi attendevi,
parole di quel tempo,
io dovrò frantumarle con le mie mani.
In quale profondità nasconderò la mia anima
perché non veda la tua assenza
che come un sole terribile, senza occaso,
brilla definitiva e spietata?
La tua assenza mi circonda
come la corda la gola
il mare chi sprofonda.
Jorge Luis Borges, Fervore di Buenos Aires

Questa volta me ne tiro fuori. Francamente sono stanco di declinare la memoria al passato remoto, quello perso e idealizzato. Ho imparato ad apprezzare le virtù taumaturgiche dell'imperfetto, tempo della malinconia e della continuità, che attualizza il mio passato, lo prolunga nel presente. Su una cosa, tuttavia, non posso fare a meno di essere completamente in sintonia con Borges: la pressante urgenza di fare a pezzi.
Dalla frantumazione della memoria emana la luce più autentica del passato, quell'odore che profuma l'aria del presente e lo rende unico, perché personale, come le memorie e le emozioni. Se tutta la storia è storia contemporanea, come diceva Benedetto Croce, ogni memoria è simulacro di un passato che in me, in ognuno, è inequivocabilmente presente.
Riducevo ai minimi termini i miei ricordi perché sapevo di dover diventare quello che sono. Continuo a farlo perché so che non ho ancora finito di cambiare.

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