Teseo torna a memoria

21 settembre 2011
Teseo si tolse dal volto la maschera da toro e tutte le sue immagini si tolsero dal volto la maschera da toro, Teseo riavvolse il filo rosso di lana e scomparve dal labirinto, e tutte le sue immagini riavvolsero il filo rosso di lana e scomparvero dal labirinto che non rispecchiava altro ormai, che lo scuro cadavere del minotauro. Poi, prima del sole, vennero gli uccelli.

Freiedrich Dürrenmatt, Il minotauro


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Achab e Starbuck

Io profetizzo adesso che mutilerò il mio mutilatore. E così dunque siano il profeta e l’esecutore un essere solo. Questo è più di ciò che voi, o grandi dèi, foste mai. Io vi rido e urlo dietro, giocatori, pugilisti, voi sordi Burke e ciechi Bendigo! Non dirò come i ragazzi ai prepotenti: «Attaccatevi a qualcuno grande e grosso come voi, non picchiate me!». No, voi mi avete atterrato e io sono di nuovo qui, ma voi siete corsi a nascondervi. Uscite da dietro le vostre sacche di cotone! Io non ho armi di lunga portata per raggiungervi. Uscite, Achab vi presenta i suoi omaggi, uscite a vedere se potete deviarmi. Deviarmi? Voi non potete deviarmi, altrimenti deviate voi stessi! È qui che l’uomo vi tiene. Deviarmi? La via del mio fermo proposito è segnata da rotaie di ferro per correre sulle quali il mio spirito è scanalato. Su precipizi senza fondo, attraverso i cuori infestati delle montagne, sotto i letti dei torrenti, io mi precipito infallibilmente. Nessun ostacolo c’è, nessun gomito su questa mia strada di ferro!


Nella vita non c’è un fermo progresso continuo, noi non avanziamo per gradi fissi verso la pausa finale: attraverso l’inconsapevole incanto dell’infanzia, la fede spensierata dell’adolescenza, il dubbio della giovinezza (il destino comune), e poi lo scetticismo, poi l’incredulità, noi ci fermiamo infine nel riposo meditabondo della virilità, il Se. Ma una volta finito, ripercorriamo la strada, e siamo bambini, ragazzi e uomini e Se, in eterno. Dov’è l’ultimo porto, donde non salperemo mai più? In quale etere estatico naviga il mondo, di cui i più stanchi non si stancano mai? Dov’è nascosto il padre del trovatello? Le nostre anime sono come quegli orfani, le cui ragazze-madri muoiono dandoli alla luce; il segreto della nostra genitura giace in quella tomba ed è là che dobbiamo conoscerlo.
E in quello stesso giorno ancora, guardando giù dal fianco della lancia in quello stesso mare dorato, Starbuck mormorò a voce bassa:
«Incanto inscandagliabile, quale mai vide un amante nell’occhio della giovane sposa! Non parlarmi dei tuoi squali dalle file di denti e dei tuoi modi selvaggi di rapina. Che la fede scacci i fatti, che la fantasia scacci le memorie: io guardo nel profondo e credo».



Il viaggio

- Mi abbandonate, voialtri? - mormorò Achab guardando nell’acqua. Pareva esserci poco in queste parole, ma il tono importava una più profonda e disperata tristezza che il vecchio demente avesse mai lasciato intendere. Ma volgendosi al timoniere che fino allora aveva mantenuta la nave contro il vento per diminuirne l’abbrivo, gridò con la sua antica voce leonina: - Barra sopravvento! Raddrizzala per il giro del mondo!
Il giro del mondo! C’è molto in queste parole che ispira sentimenti d’orgoglio; ma dove conduce tutta questa circumnavigazione? Soltanto, attraverso innumerevoli pericoli, a quello stesso punto donde si è partiti, dove quelli che abbiamo lasciato indietro al sicuro sono stati avanti noi tutto il tempo.
Se questo mondo fosse un piano infinito e navigando a oriente noi potessimo sempre raggiungere nuove distanze e scoprire cose più dolci e nuove di tutte le Cicladi o le Isole del Re Salomone, allora il viaggio conterrebbe una promessa. Ma, nell’inseguire quei lontani misteri di cui sogniamo, o nella caccia tormentosa di quel fantasma demoniaco che prima o poi nuota dinanzi a tutti i cuori umani, nella caccia di tali cose intorno a questo globo, esse o ci conducono in vuoti labirinti o ci lasciano sommersi a metà strada.



La fine alata

…mentre gli ultimi rovesci si mescolavano sul capo sommerso dell’indiano alla testa di maestro, lasciando ancora visibili alcuni pollici del bastone eretto, insieme a lunghe jarde sventolanti della bandiera che ondeggiava tranquilla con ironico accordo alle onde distruggitrici che quasi la toccavano; in quell’istante un braccio rosso e un martello sorsero tesi all’indietro, nell’aria libera, in atto d’inchiodare ancora la bandiera al bastone affondante. Un falco del ciclo che aveva beffardamente seguito il pomo di maestra giù dalla sua naturale dimora tra le stelle, dando beccate alla bandiera e molestando Tashtego, cacciò per caso ora la sua larga ala palpitante tra il legno e il martello; e contemporaneamente sentendo quel brivido etereo, il selvaggio sommerso là sotto, tenne, nel suo anelito di morte, il martello rigidamente piantato; in modo che l’uccello celeste, con strida d’arcangelo, col rostro imperiale teso in alto e il corpo prigioniero avvolto nella bandiera di Achab, andò a fondo con la nave, che, come Satana, non volle scendere all’inferno finché non ebbe trascinata con sé, per farsene elmo, una parte vivente del ciclo.
Piccoli uccelli volarono ora, strillando, sull’abisso ancora aperto; un tetro frangente bianco si sbattè contro gli orli in pendio; poi tutto ricadde, e il gran sudario del mare tornò a stendersi come si stendeva cinquemila anni fa.

Herman Melville, Moby Dick, o la Balena



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Lo scudo

9 maggio 2011


ἀσπίδι μὲν Σαΐων τις ἀγάλλεται͵ ἣν παρὰ θάμνωι͵
ἔντος ἀμώμητον͵ κάλλιπον οὐκ ἐθέλων·
αὐτὸν δ΄ ἐξεσάωσα. τί μοι μέλει ἀσπὶς ἐκείνη;
ἐρρέτω· ἐξαῦτις κτήσομαι οὐ κακίω.

Archiloco, Fr. 5 West

grafie/scritture #3, Rammemorare

30 aprile 2011

Della rimozione

26 febbraio 2011
Adesso è più difficile parlarne, è mescolato con altre storie imbastite a forza di dimenticanze minori, di falsità minime che tessono e tessono dietro i ricordi

Julio Cortázar, "Circe", in Bestiario


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Sono ancora vivo

25 gennaio 2011
Soriano sentiva che una mano passava sulla sua testa. Sollevò lo sguardo e vide la ragazza magra che lo toccava senza guardarlo. Sorrise e si addormentò lentamente. Il detective guardava il suo compagno e la bionda. La pistola gli dava fastidio e la lasciò sull'erba. Aveva freddo e si infilò la giacca. Chiuse gli occhi. Sognò qualcosa che poi non avrebbe ricordato. Fuori del bosco cominciava a far giorno. Un rumore svegliò Marlowe, che istintivamente afferrò l'arma. Due metri più in là, Soriano e la ragazza erano abbracciati. Si erano tolti gli abiti e facevano un rumore leggero, inutilmente furtivo. Il negro era steso contro un albero e arrotolava una sigaretta. Guardava il bosco. Alla fine, i suoi occhi incontrarono quelli del detective. Marlowe chiuse ancora una volta le palpebre. Sorrise, ma sentiva uno strano peso sullo stomaco. Si alzò. Il negro gli passò la sigaretta. Il detective aspirò un paio di boccate e gliela restituì. Fumarono in silenzio; guardavano il fuoco. Marlowe sentì che né le gambe né le braccia gli rispondevano più. Vide il negro con le ali da vampiro. Avvertì una caduta nella tensione dei muscoli e pensò vagamente alla morte. Si toccò la faccia. Un paesaggio vasto e desolato lo assobriva. I suoi occhi affioravano in mezzo a quel deserto e non riuscivano a vedere altro che il negro con le sue ali da vampiro. Marlowe si sentì immobile, teso selvaggio, terribile, ma inutile. Soriano gli si avvicinò. Lo vide abbandonarsi sull'erba, in mutande, anche se con la giacca indosso.
- Salve, amico, - disse il detective con la voce impastata: - sono ancora vivo.

Osvaldo Soriano, Triste, solitario y final


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Arborea

22 dicembre 2010
Non esistono alberi belli e alberi brutti, esistono solo per qualche giardiniere censore o poeta da rimario. Il tempo dell'albero assomiglia al mio, è il tempo curato e riepito di vita, il tempo più bello che ci sia al mondo. Guarda quell'albero che ti indico col dito, ha il tronco che sembra ritorto da qualche mano gigante, o da un grande male. È bello come quel pioppo dritto e superbo. E quel pino? Si è inclinato e sghembato, per cercare il sole. E guarda, giro la testa verso quel vecchio albero lebbroso di muffa e funghi. Belli, tutti, in ogni stagione. Eternamente vivi, frustati dalla pioggia, piegati dal vento e poi di nuovo immobili. Guarda lassù il cedro, sostiene una gazza sul ramo, il ramo si inclina. Non sembra che la tenga delicatamente in mano?

[…]

Stare sdraiato per me è naturale,
Allora il cielo e io ci parliamo davvero
E sarò utile il giorno che sarò sdraiato per sempre
Finalmente gli alberi mi toccheranno
I fiori avranno tempo per me

Stefano Benni, Achille pie' veloce


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In memoriam, parte seconda

16 dicembre 2010

Qual è il momento più felice che ricordi, vecchio?
Oh, sono tanti – rispose il pescatore.
Il primo che ti viene in mente.
Tanti anni fa, in un giorno d'estate come questo, io e mio figlio andammo a pescare. Lui aveva otto anni. Camminando verso la spiaggia, incontrammo un campo di girasoli. Era sterminato, saliva su una collina come un'onda e poi la scavalcava e scendeva, tutto il mondo sembrava d'oro.
Entrammo nel campo. Nuotavamo in un mare frusciante, pieno d'odori e insetti. A ogni folata di vento, i fiori si muovevano tutti insieme, come fanno i banchi di pesci, nessuno dava l'ordine, sapevano dove andare. Ogni girasole era diverso dall'altro. Come le onde, e come i soldati. Io e mio figlio stavamo vicini. Io proteggevo lui e lui proteggeva me. Salimmo fino in cima alla collina e vedemmo un oceano grande assetato di sole. Poi ritornammo indietro. Un amico ci aveva visti. Perciò ho una foto di quel giorno. La guardo ogni volta che sono triste.

Bel ricordo, – disse la morte – ma cosa c'entra con la speranza? Tuo figlio è grande ormai. Il campo di girasoli forse non esiste più. Il tuo amico è morto. E tu non sai più pescare, sei quasi cieco, non riconosci un dentice da un'orata.
E tu non riconosci più i soldati dai bambini – disse il vecchio.
Il sole stava calando, i lampioni del lungomare si accesero e illuminarono le chiome delle palme. Lontano si vide il balenare di un faro.
Anche i segnali dei fari sono tutti diversi – disse il vecchio. Quello laggiù per esempio...
Non cambiare discorso – disse la morte, sfiorandolo con la mano. Allora, cosa speri per il tuo misero futuro, vecchio?
Il vecchio guardò lontano.
Spero di tornare ancora, insieme a mio figlio, in quel campo di girasoli – rispose.
Ma non succederà, – disse la morte, spazientita – morirai e non succederà!
Non ti arrabbiare, – rise il vecchio. Io morirò, è vero. Ma non puoi convincermi che non succederà. Non puoi niente contro questa speranza. Non c'entra la fede, né la paura. Neanche tu, qui vicino a me sulla Terra, sai cosa succederà.
La morte restò in silenzio.

E bada, – continuò il vecchio – anche se io decidessi di morire, se mi togliessi la vita, neanche allora mi avresti tolto la speranza. Tornerò in quel campo, con mio figlio.
La morte rise amaramente e tirò un sasso nell'acqua. Il sasso affondò senza rumore. Poi si alzò in piedi, e il vento le fece volare via il cappellaccio. Era piena di rughe, assomigliava al pescatore.
Ci vediamo domani, vecchio testardo. Ho lavoro sull'autostrada, stanotte.
Vacci piano – disse il vecchio.
Andate piano voi – disse la morte. Riprese il cappello, se lo calcò in testa e guardò il mare. Sospirò. Sembrava non avesse voglia di andarsene.
E dov'è questo campo di girasoli? – chiese.
Domani ti porto – disse il vecchio.

Stefano Benni, "I due pescatori", in La grammatica di Dio


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In memoriam

24 novembre 2010
addurre prove d'aria, mucchietti di cenere come prove, certezze di vuoto; e peggio ancora con parole, da parole incapaci di vertigine, etichette precedenti la lettura, quest'altra etichetta finale
nozione di territorio contiguo, distanza a fianco; tempo a fianco, e al tempo stesso ninete di tutto ciò, troppo facile rifugiarsi nel binario; come se tutto dipendesse da me, da una semplice chiave che un gesto o un salto mi darebbero, e sapere che non è così, che la mia vita mi rinchiude in ciò che sono, proprio sul ciglio ma
cercare di dirlo in altro modo, insistere; per speranza, cercando il laboratorio di mezzanotte, un'impensabile alchimia, una trasmutazione

Julio Cortázar, "Lì, ma dove, come", in Ottaedro


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Il platano figlio

14 novembre 2010
Quest'uomo che accompagna il viaggiatore è tra i sessanta e i settant'anni. Lavora qui fin da ragazzo, e il platano che adesso sta facendo ombra a tutti e due l'ha piantato proprio lui. «Quanti anni fa?», domanda il viaggiatore. «Quaranta». Domani l'uomo morirà. Il platano è ancora giovane: se non l'attaccherà la malaria né vi si abbatterà sopra un fulmine, ne avrà per cent'anni. Accipicchia, com'è resistente la vita. «Quando io morirò, rimarrà lui», dice l'uomo. Il platano lo sente, ma fa finta di niente. Davanti agli estranei non parla, è un principio che seguono tutti gli alberi, ma quando il viaggiatore se ne sarà andato dirà: «Non voglio che tu muoia, papà». E se al viaggiatore domandano come lo sa, risponde che lui di conversazioni con gli alberi è uno specialista.

José Saramago, Viaggio in Portogallo


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