Nel bilancio di quello che manca

8 agosto 2010
(Ho sbagliato gioco. Ho voluto prendere le cose troppo alla leggera. Mi sono sbagliato. Imbecille. Ecco quello che volevo fare: cercavo quella ragazza, Michèle, volevo seguire le sue tracce. Come un cane. Volevo fare un gioco del tipo: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciotto, ci sei? Diciannove, venti ventuno, ventidue, ventitré, ventiquattro, conto fino a trenta, venticinque, ventisei, ventisette, ventotto, ventinove, ventinove e mezzo, ventinove e tre quarti e, e, 30! E poi mettermi a cercarti in tutti i posti della città. Negli anfratti dei muri, negli angoli delle porte, nelle discoteche, sulle spiagge, nei bar, nei cinema, nelle chiese, nei giardini pubblici. Volevo cercarti fino a sorprenderti mentre balli il tango con uno studente di farmacia o sei seduta su una sedia a sdraio e guardi il mare. Ovviamente avresti lasciato degli indizi per farti ritrovare: sarebbe stata la regola del gioco. Un nome o due. Amadouny Sonia-Nadine, Germaine, un fazzoletto abbandonato per terra sporco di un rossetto rosapesca, un fermaglio in un viale deserto. Una conversazione tra due ragazzi in un self-service. Un'indicazione ambigua lasciata sotto la tovaglia di plastica celeste di una pasticceria notturna. Oppure due iniziali conficcate con la punta dell'unghia sul sedile in finta pelle del filobus n. 9: M.D. E io, dopo un po' avrei detto tra me e me: «Fuoco!».
Poi, alle sei e venticinque del mattino, sfinito, ti avrei finalmente ritrovata, avvolta nel tuo impermeabile maschile, le labbra serrate, i capelli bagnati di rugiada, il vestito di lana un po' sgualcito, gli occhi stanchi per essere rimasti spalancati tutta la notte. Ti avrei ritrovata sola, rannicchiata su una sedia a sdraio, sul lungomare, dinanzi ad un tramonto cinereo).

Jean-Marie Gustave Le Clézio, Il verbale


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